Il docente di recitazione ha fatto salire tutta la classe di sceneggiatura sul palco e l’ha divisa in due file separate. Poi è salito anche lui. Con un grosso bastone di legno in mano.
Torno a casa verso le tre del pomeriggio e, come al solito, l’appartamento è un disastro. Polvere, sporcizia, disordine, puzza. Lo avevo tirato a lucido non più di tre giorni fa, ma è di nuovo tutto da rifare. In salotto poi, sembra che sia passato un tifone. Anzi due. E con un nome ben preciso: Mino e Piero, i miei due coinquilini universitari fancazzisti.
All’inizio la classe di sceneggiatura si è quasi spaventata, anche perchè il docente di recitazione al momento è impegnato in uno spettacolo teatrale tratto da Shining. E lui fa Jack Nicholson.
Mino e Piero stanno giocando alla Playstation. Un gioco di guerra. Hanno avuto la brillante idea di collegare la televisione allo stereo, così il rumore è talmente forte che sembra di stare nel bel mezzo di un bombardamento aereo. Come se non bastasse, la nostra vicina di casa sta sbattendo lo scopettone sul muro per farli smettere. Naturalmente Mino e Piero non la sentono, o fanno finta di non sentirla.
Voglio dire, si è rasato la testa e si è fatto crescere una barbaccia ispida da psicopatico, e con quel bastone in mano ha un aspetto a dir poco inquietante. E poi ha uno sguardo allucinato che non promette nulla di buono. Merda, mi sa che ha preso un po’ troppo sul serio tutta quella roba sul metodo Stanislavskij.
D’un tratto Mino scatta in piedi e, tenendosi lo stomaco con le mani, schizza in bagno alla velocità della luce. Piero spegne la play e la vicina di casa smette di colpire la parete. Silenzio, finalmente. Chiedo a Piero cos’è successo a Mino.
Sta passando in mezzo a noi e gioca col bastone, usandolo a volte come una mazza da baseball, a volte come spada. Adesso, più che il Jack Nicholson di Shining, sembra l’istruttore di Full Metal Jacket. Con voce alta e squillante ci dice che meritiamo una punizione.
Piero mi spiega che Mino è appena tornato da un viaggio in Marocco. Io allora la butto sul ridere e ipotizzo che magari ha fatto indigestione di kebab. Piero non ride e mi spiega che Mino, in Marocco, ha ingoiato mezzo chilo di hascisc in ovuletti da dieci grammi l’uno.
La punizione ce la meritiamo perchè ha letto i nostri testi e gli hanno fatto schifo. Ci aveva chiesto delle piccole scene che avessero come tema le problematiche giovanili, ma tutti gli hanno proposto dei dialoghi copiati da film tipo “Notte prima degli esami”, “Tre metri sopra il cielo” e “Scusa ma ti chiamo amore”.
Io sgrano gli occhi e dico: “Cazzo, ma è spaccio internazionale”. Piero non mi calcola minimamente e aggiunge che Mino, per essere sicuro di non farsi beccare, prima di prendere l’aereo ha ingollato almeno una decina di pillole contro la stipsi. Ma adesso, dopo tre giorni in cui non è riuscito ad andare in bagno, ha preso una dose da cavallo di lassativo.
Proprio quando siamo sul punto di fuggire da quel pazzo psicopatico, il docente ci spiega qual’è la nostra punizione: dobbiamo lanciarci quel bastone a vicenda e, quando ce lo abbiamo in mano, dobbiamo urlare queste parole: “Devo sentire quello che scrivo, devo scrivere quello che sento”.
Mino riemerge dal bagno. È pallido e con delle profonde occhiaie blu. Sorride. Con la mano destra regge una busta piena di ovuletti marroni, con la sinistra fa il segno della vittoria. Piero gli chiede se deve chiamare “i ragazzi”. Mino gli risponde che non c’è solo il lavoro nella vita. Piero annuisce e se ne va in camera sua. Mino comincia a rullare una canna.
Ci guardiamo circospetti. Ma poi, dal principio piano piano, infine sempre con maggior enfasi, cominciamo a lanciarci quel bastone e a urlare quelle frasi.
Piero ritorna in salotto. Si capisce che è lui solo perchè ha gli stessi vestiti, ma in realtà, sotto quella maschera antigas, potrebbe esserci chiunque.
Gli aspiranti sceneggiatori hanno abbandonato ogni freno inibitore e gridano quegli slogan con tanta di quella convinzione che sembra di essere in un congresso di Scientology. Il bastone viene lanciato a mo’ di giavellotto ed è sempre più difficile prenderlo al volo. Il docente di sceneggiatura sta urlando a pieni polmoni per incitare ancora di più i suoi studenti.
Chiedo a Piero cosa ci fa con quella maschera antigas addosso. Lui mi spiega che sabato sera è stato fermato dai vigili e, naturalmente, era sconvolto (“Cazzo, era sabato sera, vaffanculo”). Inutile aggiungere che gli hanno ritirato la patente. Adesso, per evitare di finire in grane ancora maggiori, deve dimostrare di essere pulito alle prossime analisi. Per tale ragione ha iniziato a fare attività sportiva la mattina (cioè a mezzogiorno), a bere solo spremute e tisane e a nutrirsi esclusivamente di insalate e cibi macrobiotici. (“In pratica sono diventato come Padre Pio” “Santo?” “No, morto”).
Adesso la situazione sembra veramente insostenibile. Tutti hanno la faccia sconvolta, gridano come degli ossessi e stanno lanciando quel bastone con tutta l’energia che hanno in corpo.
Mino, finita la canna, se ne ritorna in bagno a gambe levate. Lo sentiamo mentre si lamenta attraverso la porta. A quanto pare, l’effetto del lassativo non è ancora del tutto passato.“Vabbè” dico a Piero “e la maschera a cosa ti serve?” “A evitare il passivo” mi risponde. “Aaah” dico io. “Eh già” mi risponde lui. Poi mi guarda attraverso quell’aggeggio che lo rende irriconoscibile e mi chiede: “E tu, come ti sei fatto quell’occhio nero?”